La Valpolicella
Ernest Hemingway fu grande estimatore del vino Valpolicella: si narra ne consumasse diversi litri al giorno, quando si trovava in quel di Venezia. Nel romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi” (1950) Hemingway lo definisce: “Secco, rosso e cordiale come la casa di un fratello con cui si va d’accordo”.
La presenza della vite in Valpolicella Classica risale all’epoca preistorica, come testimonia il ritrovamento di piante fossili del genere Ampelophyllum, lontane antenate della Vitis Silvestris e della Vitis Sativa.
Testimonianze della coltivazione di Vitis Vinifera Sativa (idonea alla produzione del vino) sono state rinvenute nell’abitato preromano di Archi di Castelrotto: databili tra il VII ed il V secolo a.C sono stati scoperti numerosi vinaccioli di vite vinifera, la “Vitis Raetica”, ovvero della regione Raetia, regione che in epoca romana si estendeva dal Danubio al Canton dei Grigioni, comprendendo Lombardia e Tirolo sino a Verona.
Successive attestazioni della coltura della vite in Valpolicella si hanno in epoca romana, quando il vino della Valpolicella, chiamato “Acinatico”, ottenuto con una speciale tecnica di appassimento delle uve, conquista le mense imperiali.
Celebrato da numerosi scrittori e poeti, definito “Mosto invernale, freddo sangue delle uve”, l’Acinatico è considerato l’antenato dell’attuale Recioto.
Conferma della diffusione presso i romani della tecnica dell’appassimento delle uve è il ritrovamento in località Ambrosan, tra S.Pietro in Cariano e Fumane, di una villa romana del II-III sec. d.c. con locali dotati di un sistema di riscaldamento sotto la pavimentazione (ipocausto) per l’essicamento delle uve per la produzione del vino retico.
Numerosi sono stati nella storia successiva gli autori che hanno lodato la Valpolicella ed i suoi vini ed i ministri che hanno legiferato sulla necessità di proteggere la vite e la sua coltivazione in Valle.
L’origine dell’Amarone è molto più recente. La storia racconta di un cantiniere che alla fine degli anni ‘30 ritrova una botte di Recioto, prima dimenticata.
Spillando il vino dal fusto di fermentazione, egli avrebbe esclamato “Questo non è un Amaro, è un Amarone”.
Dimenticando il Recioto nella botte, il processo di fermentazione era continuato ed il risultato finale non risultò più essere un vino dolce, bensì un vino secco ed asciutto, ma morbido al gusto. Sarebbe nato così l’Amarone, il vino che ha reso famosa la Valpolicella nel mondo.